La pesca in apnea all’agguato è una tecnica estremamente precisa e richiede grandi doti di esperienza e acquaticità.

 

Può essere praticata tutto l’anno e si divide in agguato in acqua bassa e agguato profondo. Facciamo riferimento alla prima tecnica, di più facile esecuzione. A seconda della stagione cambiano gli orari ideali per la pesca all’agguato, che nel periodo estivo può essere praticata quasi esclusivamente all’alba, prima che bagnanti e imbarcazioni disturbino il pesce, mentre nel periodo invernale l’agguato può essere praticato durante tutte le ore di luce. 

La tecnica dell’agguato prevede infatti di sorprendere il pesce indisturbato, mentre mangia sulla parete di una roccia o fra la posidonia, piuttosto che nel momento in cui si trova fermo in corrente o riparato all’ombra di una roccia per effettuare a sua volta un agguato ad altri pesci. Le nostre prede dovranno quindi non essere disturbate in alcun modo da fattori esterni, noi compresi.

Tutto ciò ben si sposa con la trattazione già pubblicata nella parte 1 e nella parte 2 sul mimetismo in mare. Alla base della tecnica di pesca all’agguato c’è la necessità di poter, durante tutta la fase di avvicinamento, dalla capovolta al momento dello sparo, coprirsi dietro a dei ripari come gli scogli. In questo modo il pesce non potrà ne vederci, ne sentire le onde di pressione che genereremo in acqua durante gli spostamenti. Poiché sarà difficile risultare sempre perfettamente al riparo dietro delle rocce, i nostri movimenti, dalla capriola iniziale agli spostamenti sul fondo, dovranno essere estremamente lenti e ridotti al minimo. Non avrà comunque senso spostarsi lungo tratti estesi di posidonia o grotto per effettuare un agguato, poichè il pesce ci percepirà certamente e scapperà prima ancora di poterlo mettere a tiro, o addirittura semplicemente individuarlo. Sarà un fondale ideale invece quello costituito da grossi massi e coperture quali canaloni all’interno dei quali spostarsi. Fondamentale sarà, nello spostamento sul fondo, evitare di utilizzare le pinne, e avanzare utilizzando il braccio libero aggrappandosi al fondo.

Per poter utilizzare questa tecnica e per essere in grado di limitare al massimo la pinneggiata anche in fase di discesa sul fondo, la nostra zavorra dovrà essere importante, e renderci leggermente negativi già dopo pochi metri di discesa, anche considerando che la pesca all’agguato in acqua bassa si svolge in genere fra la superficie i massimo 10 metri di profondità

Il fucile, scelto con buona brandeggiabilità, e quindi fra i 75 e i 90 cm, sia arbalete che pneumatico, sarà sempre pronto durante il nostro spostamento sul fondo, ma leggermente arretrato, per poter poi essere avanzato in direzione della preda una volta che questa viene individuata. I tiri in genere non sono molto lunghi, proprio per il tipo di tecnica utilizzata, che si basa sull’avvicinarsi al pesce e sorprenderlo, per avere pochi attimi per prendere la mira e scoccare il tiro. 

Per avere la meglio sulla nostra preda, l’ideale sarà raggiungerla di coda oppure dall’alto, posizioni nelle quali il pesce non ci vede e non riesce a percepirci con la linea laterale. Evidentemente, qualunque urto con gli scogli durante la fase di avvicinamento comporterà la fuga immediata del pesce. 

Le prede possibili con la pesca all’agguato sono le più svariate, anche se le troveremo in genere in situazioni diverse. Se generalmente orate e saraghi li troveremo intenti a mangiare sulla parete di un scoglio, magari anche all’interno di un branco di salpe, le corvine saranno in branco davanti ad una tana o ferme sopra la posidonia, mentre le cernie si troveranno all’ombra di uno scoglio, a loro volta pronte ad effettuare un agguato ad una preda. Altri predatori come dentici e spigole li potremo trovare fermi in corrente pronti a sferrare un attacco a sorpresa sulla mangianza.